OPENING SABATO 11 MAGGIO 2024
Ore 18.00-Presentazione di Fabio Lombardi & Leonardo Kurtz
Nel regno animale, noi scimmie nude siamo la sola specie che ha l'abitudine di confezionarsi una seconda pelle. La scelta dell'abbigliamento, espressione di come vogliamo apparire agli occhi degli altri, rivela molto di noi stessi, mentre un corpo nudo, pur mostrando qualcosa delle abitudini alimentari e del tempo che dedichiamo alla ginnastica, dice assai poco dell'immagine che intendiamo proiettare all'esterno. L'abbigliamento è il segnale indicatore dell'appartenenza a un gruppo sociale, o della simpatia per certi modelli di esistenza, o di particolari gusti artistici, o del rimpianto per il passato, o dell'adesione al presente, e nei rari casi in cui uno si veste come capita ciò che emerge è l'indifferenza per l'aspetto esteriore, che equivale a una manifestazione di disprezzo per l'asservi-mento della personalità agli stereotipi sociali. Dal fatto che ogni abito esprime uno stile di vita discende che, nel cinema, il costumista svolge un ruolo di fondamentale importanza per la caratterizzazione del personaggio. La sfida è particolarmente ardua quando il personaggio proviene da un remoto ALTROVE, nel qual caso il costumista si trova a dover affrontare un lavoro di immedesimazione simile a quello di un antropologo. È ciò che ha fatto Stefano Ciammitti per il film "lo capitano" di Matteo Garrone, candidato al Premio Oscar e vincitore del David di Donatello. Aggirandosi per i mercati pubblici di Dakar, partecipando alla vita quotidiana degli abitanti della metropoli, Ciammitti si è calato nel modo di pensare e di rappresentarsi di due giovani senegalesi che, sognando di diventare musicisti in Europa, tengono un piede nella complessa realtà del loro mondo e l'altro in un magnetico ALTROVE situato a Occidente. Una sfida difficile ma vittoriosa, come si può vedere non solo al cinema ma anche nello spazio della galleria Primo Piano, che ospita i bozzetti preparatori del film e gli originali costumi di scena, insieme ad altri magnifici disegni.
Personaggio multiforme, Dario Maria Campana ha riversato nell'arte le esperienze di una vita eclettica. Nella galleria Sincron, da lui gestita negli anni sessanta, figuravano opere di Mimmo Paladino, Hans Glattfelder, Vittorio D'Augusta, Bruno Munari, che hanno ispirato la sua prima produzione artistica. Negli anni settanta Campana scolpisce opere monumentali in marmo e bronzo destinate a luoghi pubblici sparsi per tutta Italia, da Milano a Bari. Dopo una lunga pausa creativa ricomincia a scolpire, realizzando bassorilievi in cui il fascino per la tecnologia si combina alla passione per le varianti del caso, in una miscela che congiunge i ready-mades di Duchamp a Hal 9000, l'intelligenza artificiale del film di Kubrick. Richiamando il fenomeno gravitazionale per cui il nostro satellite ci mostra sempre la stessa faccia luminosa, nascondendoci la sua altra faccia oscura, la mostra Librazioni evidenzia l'intento dell'artista di affidare alle sue opere una rappresentazione chiara e netta della realtà, un'utopia in cui ogni ombra è dissolta dal potere della ragione...
Collaborazione come Partner Culturale per la manifestazione "La Settima Arte"
Il cinema è un’industria che produce arte. In questa affermazione, condivisibile lungo tutta la storia del cinema, risiede il naturale legame tra la cultura cinematografica e quella industriale.
Da qui nasce “La Settima Arte – Cinema e Industria”, il progetto, di carattere internazionale, ideato da Confindustria Romagna, Khairos Srl (Cinema Fulgor e Cinema Settebello di Rimini), Università Alma Mater Studiorum Bologna – Dipartimento Scienze per la Qualità della Vita di Rimini, con la collaborazione del Comune di Rimini.
La Settima Arte – Cinema e Industria fa parte del calendario degli eventi di “Verso il 2020: 100 anni di Fellini” e accende i riflettori su due temi:
il “Fare Cinema”, inteso come l’industria del cinema, l’insieme di risorse umane, economiche, intellettuali e professionali che costituiscono la nervatura produttiva del settore;
la declinazione espressiva del fare cinema, intesa come una “Rivoluzione Culturale” in grado di rompere gli schemi del presente.
I due filoni si intrecceranno e declineranno, in modo ampio e diversificato, nel programma delle tre giornate che prevede mostre, proiezioni, conferenze, masterclass, presentazioni di libri con autore.
Gli incontri sono liberi ed aperti a tutta la cittadinanza, in un’idea di stretta relazione con il territorio. Il progetto si caratterizza per la sua identità di evento corale nella definizione dei contenuti e nella partecipazione agli appuntamenti, in cui si riconoscono come partner culturali istituzioni, aziende, associazioni ed enti.
L'uovo umanoide Humpty Dumpty (da un muretto). King Kong (dall'Empire State Building), Adamo ed Eva (dal giardino dell'Eden), Tim Finnegan (da una scala a pioli), Fetonte (nell'Eridano), Sherlock Holmes (dalle cascate del Reichenbach), il professor Rath (nell'abiezione morale e nell'avvilimento): anche noi, come loro, siamo in caduta libera. Tredici artisti ci raccontano verso che cosa stiamo precipitando. Meglio saperlo con un po' di anticipo, per essere pronti allo schianto, dato che – come dice il protagonista del film L'odio di Mathieu Kassovitz – il problema non è la caduta, ma l'atterraggio.
Collettivo:
Vittorio D'Augusta - Maurizio Battaglia - Leonardo Blanco - Lukas Brunnen - Maria Pia Campagna - Dario Campana - Kiril Cholakov - Olivia Oss - Jaanika Peerna - Massimo Pulini - Angela Rapio - Graziano Vitta - Nadja Galli Zugaro
con il contributo creativo di Errante Parrino e Adem B | collaborazione musciale Marco Gemmoni | videoinstallazione di D&L | perfomance di Claudio Gasparotto | lettura di Adele Masciello
a cura di Fabio Lombardi
La luce è sospesa, uomini-alberi, uomini-animali abitano lo spazio con la consistenza di fantasmi, di ombre.
Come in una notte, queste presenze immerse nel buio non consentono alcuna confidenza, ognuna mantiene
vivo il suo mistero. Nelle ombre si possono proiettare pensieri, visioni, paure, ricordi, parole non dette;
persone che abbiamo perso, paesini abbandonati, luoghi della nostra memoria visiva, situazioni mai vissute;
in breve, sogni. Un racconto onirico nel tentativo di esprimere un’impossibilità, disegnare i contorni di ciò che
non è rappresentabile, o perché forse la memoria è fatta cosi…ti rimangono solo le silhouettees, ombre
nell’attimo prima che tutto svanisca nel nulla, o dal nulla emerga.
Nuove vie per la scultura contemporanea, sono quelle che da tempo Nicola Cucchiaro va percorrendo con costante, meticolosa fedeltà agli strumenti e alla prassi di un “fare” che ha radici antiche coniugando for- me e linguaggi attuali.
Il titolo della mostra è “AL 13”, è il nome chimico dell’alluminio, il suo simbolo è AL e 13 è il numero atomico e si riferisce alla materia metallica luminosa e rifrangente con cui le sculture, pezzi unici, sono state fuse. Le sculture, quasi degli stiacciati (visto l’esiguo spessore), si muovono nello spazio in un labirinto di forme dilatate, deformate, esse.
Cucchiaro ha inventato un abbecedario transgenetico, in un rinnovamento del fantastico come metodo per la rappresentazione della realtà. Quella in divenire, quella passata, utilizzando le connessioni di diversi campi disciplinari, mettendo in luce le pulsioni verso una nuova umanità che è andata oltre il post moder- no pur inglobandolo.
I disegni sono una confessione creativa ma anche la forma maieutica di un “agire” del pensiero, dove il segno e gli altri elementi compositivi vengono ra nati e disciplinati in grandi fogli: hanno per soggetto re- sidui antropomor di un’umanità dolente e mutante, corpi deformati e resi nudi e cavi dalla manipolazione perpetrata dall’artista.
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